L’istituto giuridico della “peculiare tenuità del fatto” è ben disciplinato dall’art. 131 bis,e comprende, tra le altre branche del diritto, l’estensione alle norme penali ambientali confermando, in tal senso, una portata molto ampia e di garanzia degli effetti sull’applicazione della pena.

Accertato che la “tenuità del fatto” presupponga l’individuazione del bene giuridico da tutelare si deve, necessariamente, rilevare come nel diritto penale ambientale tale previsione, confermata altresì dalla prevalente giurisprudenza di legittimità, ammetta anche i reati di pericolo ipotesi non rare nel diritto penale ambientale.

Infatti, dette condotte prevedono, di regola, sanzioni derivate dall’esercizio di determinate attività che eludono o violano le “funzioni di controllo” da parte degli Organismi pubblici deputati alle verifiche del caso.

In tal senso, l’offensività deve essere valutata in rapporto al bene “finale” ambiente nonché al “bene strumentale” da identificarsi nell’interesse della collettività al corretto svolgimento delle funzioni di vigilanza.

Possibile escludere anche l’Ente?

In materia ambientale – come è noto – sono numerosi i reati che possono ritenersi idonei a configurare, accanto alla responsabilità penale personale del reo, anche quella dell’Ente, ex d.lgs. 231/2001. Ma nel caso in cui intervenga la dichiarazione di non punibilità del soggetto attivo, per particolare tenuità ex art. 131-bis c.p., la medesima produce l’esclusione della responsabilità dell’Ente?

La dottrina sul punto è alquanto controversa.

Infatti, una parte di questa risponde sostenendo come corretta la tesi per la quale la persona fisica possa ottenere la declaratoria relativa alla tenuità del fatto, senza che ciò implichi una conseguente esclusione della responsabilità della persona giuridica, ai sensi della 231/01, per quel reato, scindendo di fatto i due soggetti. Altra parte della dottrina non è però concorde con questo orientamento che ad avviso di chi scrive trova un valido fondamento giuridico.

Non solo, una ulteriore ed annosa questione giuridica deriva dalla interazione tra la previsione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (realistica in materia ambientale) e la procedura di estinzione del reato, applicabile ad alcune contravvenzioni regolamentate dal d.lgs. 152/2006 (parte sesta bis).

Infatti, la verifica delle condizioni previste per procedura estintiva del reato, legata all’adempimento delle prescrizioni imposte dall’organo di vigilanza, si concentra, prevalentemente, sulla mancanza del danno o pericolo concreto e attuale del medesimo “… alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette”, così come sancito dall’art. 318 bis d.lgs. 152/2006. Da tale premessa è facile intuire come la valutazione sulla scarsa offensività del reato riverberi i propri effetti, sovrapponendosi, con l’istituto della tenuità del fatto.

La linea di demarcazione, dunque, tra i due Istituti trova soluzione in alcuni indirizzi dottrinali che ritengono la linea di confine di agevole individuazione.

In particolare, per la dottrina prevalente, alla procedura estintiva del reato (di cui al d.lgs. 152/2006) può riferirsi solo se si ritenga non applicabile la causa di “non punibilità” per speciale tenuità del fatto, evidenziando una valutazione alternativa.

In realtà, per come è strutturata la procedura estintiva contemplata dal d.lgs. 152, il rapporto tra i due istituti può configurarsi come principio di sussidiarietà della non punibilità per particolare tenuità rispetto alla prima.

Più in dettaglio, non è da escludere che, anche in considerazione del carattere riparatorio e ripristinatorio per il bene giuridico tutelato che contraddistingue l’adempimento delle prescrizioni, venga in prima analisi favorito l’estinzione del reato, riservando, in seguito ed in via alternativa, l’eventuale dichiarazione di non punibilità per particolare tenuità anche a casi in cui la procedura estintiva non abbia avuto esito del tutto positivo.